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L'attesa di essere uno scarico umano

E va bene, può succedere.
Arriva il momento in cui vengo anche scaricato. Perfetto. A quel punto mi trasformo ufficialmente in una nuova creatura mitologica: lo Scarico Umano.
Un essere mezzo persona, mezzo impianto idraulico, specializzato nel far scorrere via qualsiasi cosa: responsabilità scomode, pensieri inutili, pratiche fastidiose e, nei giorni migliori, anche l’equivalente emotivo dello sciacquone.

Inizio a prendere molto sul serio il mio ruolo.
Mi immagino con manuale d’uso, certificazione energetica, guarnizioni esistenziali di ricambio.
Sono un’entità concettuale, un’installazione vivente che combina performance art e idraulica base.
E più ci penso, più mi ci rivedo.

A un certo punto mi viene pure da filosofeggiare, in una versione assolutamente degenerata di un vecchio modo di dire:
"Non è l’attesa di essere uno scarico umano, essa stessa il piacere?"
Cioè, onestamente: quel micro-secondo prima che qualcuno tiri la leva non è forse un momento poetico?
Una suspense da thriller idraulico (o era "suspance"? ma non sarebbe body shaming?).
Una zona grigia dove tutto è possibile, dalla redenzione alla caduta nello scarico metaforico?
Insomma, un attimo di pura tensione artistica in cui perfino uno scarico può sentirsi protagonista.

E io ci rido sopra, perché dopotutto essere chiamato caso umano è un upgrade rispetto a molte altre etichette.
E essere scaricato… beh, fa curriculum.
Non tutti hanno il privilegio di diventare creature concettuali da bagno con tanto di funzione filosofica incorporata.

E io mi lascerei pure installare... non come quelle opere di Emmanuelle, che attendono nove mesi e poi non sono installabili a muro. Capite?

Ma poi pensavo... quanto è fregna Erica?
Meglio però che lo pensi e basta, potrebbe sembrare inelegante dirlo.
Che poi finché mostra un capezzolo e non due, sul palco, mi sembra anche ragionevole. No? Meglio di Nevio...